Cos’è

La Policitemia Vera (o morbo di Vaquez) è una neoplasia mieloproliferativa cronica caratterizzata dalla proliferazione incontrollata di un clone midollare emopoietico appartenente alla  serie mieloide orientata prevalentemente verso la produzione dei globuli rossi con conseguente abnorme produzione di globuli rossi maturi immessi nel sangue periferico.

 

Diffusione e fattori di rischio

La policitemia vera è una patologia rara con un’incidenza di un individuo ogni 100.000 abitanti l’anno. L’età media alla diagnosi è di circa 60 anni, sono <5% i casi con diagnosi di PV con età inferiore ai 40 anni. E’ riportata una lieve prevalenza nel sesso maschile. In rari casi è stata riportata una familiarità con trasmissione di tipo autosomico dominante. Il decorso naturale della patologia mostra un rischio di evoluzione a 15 anni in mielofibrosi o trasformazione leucemica pari rispettivamente al 35% e 5%. Come per molte altre neoplasie ematologiche, le cause della PV non sono note. Da un punto di vista patogenetico la malattia è caratterizzata dalla capacità delle cellule progenitrici eritroidi del midollo osseo emopoietico di proliferare e maturare anche in assenza di eritropoietina (ormone che stimola fisiologicamente la produzione di globuli rossi), sfuggendo al controllo determinato da questo ormone (che risulta pertanto soppresso) ed espandendosi progressivamente.

 

Patogenesi

Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi sulla patogenesi della malattia che, oltre a consentire una migliore conoscenza dei meccanismi patogenetici, hanno consentito la scoperta di eventuali futuri bersagli terapeutici. Nel 2006 è infatti stata scoperta la mutazione V617F a carico del gene Janus Kinase-2 (JAK-2), presente in più del 95% dei casi di PV, mutazione responsabile della proliferazione eritroide, e dell’aumentata proliferazione della cellula staminale mieloide, associata a un’aumentata produzione anche di globuli bianchi e di piastrine. Nella rimanente percentuali dei casi è possibile riscontrare una mutazione differente, a carico dell’esone 12 del gene Jak-2, responsabile dei medesimi meccanismi patogenetici.

 

Diagnosi e sintomi

Secondo i criteri diagnostici della WHO 2016, la diagnosi di policitemia vera deve essere sospettata in presenza di elevati livelli di emoglobina (Hb > 16.5 g/dl nell’uomo e > 16 g/dl nella donna) o di ematocrito (> 49% nell’uomo e > 48% nella donna). Indispensabile la ricerca della mutazione del gene Jak-2 mediante analisi di biologia molecolare (tecnica RT-PCR) su prelievo di sangue periferico. Dirimente per la diagnosi è la biopsia osteomidollare che discrimina tra le varie forme di neoplasie mieloproliferative e che nel caso della PV mostra una cellularità midollare aumentata per età cui si accompagna una aumentata proliferazione dei precursori della linea mieloide, eritroide e megacariocitaria. Criterio importante ma non indispensabile per la diagnosi (criterio minore) è la soppressione dell’eritropoietina endogena. Fondamentale è l’esclusione delle cause eventualmente responsabili di una poliglobulia secondaria (patologie respiratorie, somministrazione di eritropoietina esogena, alta quota, fumo, eritrocitosi secondaria a trapianto renale). La sintomatologia con cui si presenta la patologia all’esordio è correlata all’espansione della produzione dei globuli rossi e all’ingombro che questi creano a livello del distretto vascolare. I pazienti possono presentare prurito intenso (soprattutto dopo esposizione dall’acqua, definito prurito acquagenico), cefalea, acufeni, vertigini, sudorazioni profuse, ipertensione, disturbi visivi, pletora del volto e del palmo delle mani. In circa il 20% dei pazienti un episodio trombo-embolico arterioso o venoso è riscontrabile in anamnesi o è presente alla diagnosi. Virtualmente tutti i distretti dell’apparato vascolare possono essere interessati e le più comuni manifestazioni sono: trombosi a carico delle arterie o delle vene mesenteriche, sindrome di Budd-Chiari (trombosi delle vene sovra-epatiche), trombosi della vena porta o della vena splenica, infarto del miocardio, trombosi venosa profonda, ictus cerebri, trombosi dei vasi retinici. Le principali cause di mortalità e morbilità correlate a questa malattia sono le complicanze tromboemboliche e la trasformazione a mielofibrosi o leucemia acuta.
I pazienti ad alto rischio di eventi vascolari sono pazienti con età > 60 anni e con anamnesi positiva per pregressi eventi trombotici. Il rischio trombotico aumenta in caso di concomitante piastrinosi e soprattutto leucocitosi. La presenza di splenomegalia è associata ad un rischio maggiore di evoluzione a mielofibrosi.

 

Cura

La cura della PV comprende il salasso terapeutico con lo scopo di indurre una carenza di ferro, tale da limitare la proliferazione midollare delle cellule progenitrici eritroidi e di mantenere i livelli di ematocrito al di sotto del 45% (soglia valutata dal CYTO-PV trial e correlata ad un rischio significativamente ridotto di insorgenza di eventi vascolari). La terapia antiaggregante con basse dosi di aspirina (100 mg die) è stata valutata nello studio ECLAP ed è correlata a una significativa riduzione di eventi cardiovascolari. Nei pazienti ad alto rischio, oltre alla terapia antiaggregante e alla salassoterapia, il trattamento comprende la terapia citoriduttiva per via orale con idrossiurea.
Una possibile alternativa nei pazienti che non rispondono o che non tollerano la somministrazione di idrossiurea è la terapia con pipobromano.
Nelle pazienti in stato di gravidanza è indicata la terapia con interferone associata alle bassi dosi di aspirina da sostituire con l’eparina a basso peso molecolare nella fase del parto e del post partum. Le nuove acquisizioni in campo molecolare che sono state fatte negli ultimi anni e che hanno permesso di comprendere meglio i meccanismi patogenetici che stanno alla base di questa malattia, hanno fornito gli strumenti per lo sviluppo di nuovi farmaci potenzialmente in grado di modificarne la storia naturale. Tra i nuovi farmaci sviluppati e ancora in fase di sperimentazione, ricordiamo gli inibitori di JAK-2 (ruxolitinib) e gli inibitori dell’istone deacetilasi (es. vorinostat e givinostat). L’IFN-α 2a pegilato è una strategia terapeutica in corso di sperimentazione.

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