Cos’è

La leucemia mieloide cronica è un disordine clonale della cellula staminale pluripotente caratterizzata da una traslocazione bilanciata tra il braccio lungo del cromosoma 9 e il braccio corto del cromosoma 22, patognomonica della malattia.

 

Diffusione e fattori di rischio

La leucemia mieloide cronica è una patologia rara, la cui incidenza è approssimativamente di un individuo ogni 100.000 abitanti l’anno. Essa mostra una preponderanza nel sesso maschile e un’età mediana di insorgenza compresa tra i 50 e 60 anni. L’avvento dei farmaci inibitori delle tirosino chinasi, dal 2001, ha completamente rivoluzionato la prognosi della malattia la cui sopravvivenza è ad oggi pressoché sovrapponibile a quella della popolazione generale. Non è stato identificato un preciso agente eziologico responsabile della malattia; il solo fattore predisponente si pensa possa essere l’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

 

Patogenesi

Questa malattia è contraddistinta da una alterazione citogenetica tipica, caratterizzata dalla traslocazione tra il cromosoma 9 e il cromosoma 22, responsabile della formazione di un gene anomalo (bcr/abl) che a sua volta produce una proteina cosiddetta “di fusione” ad azione tirosino-chinasica responsabile della proliferazione incontrollata delle cellule e alla base della trasformazione leucemica.

 

Diagnosi e sintomi

La naturale evoluzione della patologia comprende tre fasi differenti: fase cronica, fase accelerata e fase blastica. La prima fase è in genere asintomatica ed è la fase maggiormente responsiva al trattamento. La fase blastica è la fase più aggressiva e meno responsiva al trattamento, e l’unica strategia potenzialmente curativa è rappresentata dal trapianto di cellule staminali emopoietiche. La percentuale dei pazienti che esordisce con la fase blastica della malattia si aggira tra lo 0,9 e il 6,7%. All’esordio la malattia molto frequentemente non mostra sintomi, e la diagnosi è spesso casuale in concomitanza a esami ematici effettuati di routine, che mostrano un variabile incremento della conta dei globuli bianchi, della conta piastrinica e una anemia lieve/moderata. I sintomi all’esordio se presenti comprendono astenia e senso di ingombro addominale e di tensione epigastrica per la presenza di splenomegalia. La diagnosi viene effettuata con esami ematici comprendenti l’emocromo e la formula leucocitaria e con indagini di biologia molecolare, ovvero la ricerca del trascritto di fusione BCR-ABL1 su sangue periferico mediante tecnica di real-time PCR. Altrettamento fondamentale per la diagnosi è l’esecuzione di un aspirato midollare per l’identificazione mediante esame morfologico della fase di malattia e per l’analisi citogenetica, che consente l’identificazione del cromosoma anomalo (cromosoma Philadelphia e l’eventuale presenza di anomalie citogenetiche aggiuntive.
I tre principali punteggi prognostici alla diagnosi sono lo score Sokal, Hasford ed Eutos. Più recentemente è stato introdotto un ulteriore score prognostico definito ELTS (Eutos Long Term Survival Score), anch’esso validato in epoca di terapia con TKIs. L’utilizzo degli score alla diagnosi è fondamentale in quanto predittivo della risposta alla terapia e dell’outcome del paziente.

 

Cura

Il trattamento della LMC ha subito un drastico cambiamento negli ultimi 15 anni grazie all’avvento degli inbitori delle tirosino chinasi, farmaci in grado di controllare la patologia, e che attualmente consentono una sopravvivenza quasi paragonabile a quella della popolazione generale.
Il vantaggio di questi farmaci è che essi agiscono selettivamente sulle cellule leucemiche che presentano la traslocazione, bloccandone la proliferazione. Il capostipite di questi farmaci è imatinib, a cui hanno fatto seguito i TKIs di seconda generazione (nilotinib, dasatinib, bosutinib) e di terza generazione (ponatinib). Questi farmaci altamente efficaci mostrano un variabile profilo di tossicità che deve essere attentamente tenuto in considerazione per la scelta del farmaco sulla base non solo delle caratteristiche della malattia all’esordio, ma anche e soprattutto della storia clinica del paziente. I tre farmaci utilizzabili in prima linea, come stabilito dalle raccomandazioni europee (ELN-European Leukemia Net) elaborate da un panel di esperti di patologia, sono imatinib, dasatinib e nilotinib. Bosutinib può essere utilizzato in caso di inefficacia/intolleranza a precedenti inibitori e ponatinib in caso di resistenza a imatinib o resistenza/perdita di risposta ai TKIs di seconda generazione utilizzati in prima linea o in caso di presenza della mutazione T315I. In caso di utilizzo di imatinib in prima linea, dasatinib e nilotinib vengono utilizzati in seconda linea. Gli obiettivi del trattamento sono: risposta ematologica completa (normalizzazione dei valori emocromocitometrici), risposta citogenetica completa (assenza del cromosoma Philadelphia all’analisi citogenetica) e risposta molecolare maggiore (espressa come percentuale di riduzione delle cellule presentanti il trascritto BCR-ABL rispetto al gene di controllo ABL). Tali obiettivi devono essere monitorati a precisi timepoint e il monitoraggio della risposta molecolare con prelievo di sangue periferico ogni tre mesi in laboratori specializzati. Soprattutto quest’ultima ha rivestito e riveste un ruolo fondamentale nel controllo della malattia. Una riduzione precoce dei livelli di trascritto sono infatti predittivi di un decorso favorevole e di una pressochè assente probabilità di progressione della malattia. La progressiva riduzione del trascritto consente di ottenere la risposta molecolare profonda, requisito fondamentale per l’eventuale discontinuazione della terapia. Studi effettuati a livello europeo e internazionale hanno infatti dimostrato che in caso di ottenimento e persistenza per anni della risposta molecolare profonda, si possa mantenere nel 40% dei casi la risposta molecolare pur sospendendo il trattamento. La maggior parte degli studi di sospensione ad oggi disponibili sono stati effettuati su pazienti in trattamento con imatinib, e solo in pochi casi con inibitori di seconda generazione. I criteri di inclusione e gli obiettivi degli studi finora eseguiti mostrano ampia variabilità e risultano pertanto scarsamente sovrapponibili, motivo per cui la discontinuazione non è ad oggi riportata nelle linee guida europee.
Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche rimane la sola strategia curativa nei pazienti non responsivi agli inibitori tirosin-chinasici e per i pazienti che esordiscono in fase blastica di malattia.

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