Il trapianto allogenico prevede la reinfusione di cellule staminali ematopoietiche di un donatore sano in un ricevente che è stato sottoposto a una chemioterapia e/o radioterapia di condizionamento ad alta intensità. Il razionale di questo tipo di trapianto risiede sia nella capacità della terapia di condizionamento di eradicare la malattia e il sistema immunitario del paziente, ma anche nell’effetto immunologico del trapianto stesso, ossia la capacità dei linfociti del donatore di eliminare, con un meccanismo noto come “Graft versus Leukemia” (GVL), le cellule neoplastiche residue.

Per poter infondere il midollo osseo di un donatore occorre che questo sia compatibile con il ricevente, ovvero che esprima sulle sue cellule analoghe proteine appartenenti al cosiddetto sistema di maggiore di istocompatibilità (HLA). Poiché ognuno di noi ha un sistema di istocompatibilità specifico e la variabilità genetica è molto elevata al di fuori dell’ambito familiare, la ricerca del donatore viene fatta dapprima tra i fratelli, ciascuno dei quali ha una probabilità del 25% di essere HLA compatibile con il paziente.

Per dare la possibilità di trovare un donatore compatibile, sono stati creati i registri internazionali di donatori volontari e i network di banche di sangue di cordone ombelicale.

Inoltre recentemente è stato introdotto il trapianto aploidentico, nel quale il donatore condivide con il paziente solo parte del sistema HLA e che risulta disponibile ogniqualvolta esista una coppia vivente genitore-figlio.

Attualmente sono tre le fonti di cellule staminali ematopoietiche disponibili: midollo osseo ematopoietico, sangue venoso periferico e sangue cordonale. Quest’ultimo è facile da raccogliere e criopreservare senza rischi per la madre e il neonato, viene ottenuto al momento del parto incannulando la vena ombelicale.

Il sangue midollare può essere ottenuto tramite agoaspirati multipli dalle creste iliache posteriori in anestesia generale o spinale (espianto di midollo osseo).  Nel donatore sano non vi è una perdita della funzionalità midollare, in quanto il midollo prelevato viene ricostituito interamente nell’arco di poche settimane.

Il sangue periferico è la fonte oggi più utilizzata. Normalmente le cellule staminali, anche se in misura molto limitata, si trovano anche nel sangue circolante. Per aumentare il loro numero si possono utilizzare dei farmaci denominati fattori di crescita granulocitari, che vengono somministrati per via sottocutanea. Questa fase di stimolazione viene chiamata mobilizzazione. Successivamente, le cellule staminali ematopoietiche vengono prelevate e separate dagli altri elementi del sangue mediante una tecnica specifica denominata aferesi. Una volta prelevate e trattate in laboratorio le cellule vengono congelate e possono essere conservate per anni.

Nelle raccolte da sangue periferico, la dose di cellule staminali ematopoietiche è più elevata così come maggiore è la concentrazione di linfociti T; questo si traduce in un attecchimento più rapido e in un maggior rischio di “Graft Versus Host Disease” (GVHD), soprattutto cronica. Il sangue cordonale invece possiede una bassa dose di cellule e comporta pertanto una più tardiva ripresa emopoietica e un rischio maggiore di mancato attecchimento.

I regimi di condizionamento utilizzati per il trapianto allogenico si basano sull’utilizzo di farmaci ad azione mieloablativa (es. busulfano, ciclofosfamide, melfalan), oppure sull’uso di radioterapia (“Total Body Irradiation”, TBI). Per poter offrire la strategia allotrapianto logica anche a pazienti più anziani, con comorbidità o pesantemente pretrattati a partire dalla seconda metà degli anni ’90 sono stati introdotti regimi di condizionamento a intensità ridotta (“Reduced Intensity Conditioning”, RIC) basati sull’uso di farmaci immunosoppressivi (es. fludarabina) e mielotossici a dosi non mieloablative con conseguente minore tossicità e maggiore GVL.

L’infusione delle cellule staminali ematopoietiche viene effettuato dopo 24-48 ore dal termine del condizionamento. La tossicità extraematologica del regime di condizionamento può coinvolgere qualsiasi organo, tra cui fegato, polmone, rene, cuore e  tratto gastroenterico. Come nel trapianto autologo, il condizionamento comporta una fase di aplasia, che comporta rischio infettivo ed emorragico, seguita dall’attecchimento, il quale si verifica in genere dopo 15 giorni dal trapianto.

Tra le complicanze associate al trapianto allogenico è necessario ricordare la GVHD, espressione di una complessa reazione immunologica delle cellule linfocitarie del donatore verso tessuti e organi del ricevente e che può essere distinta in un forma acuta e in una forma cronica. Proprio allo scopo di ridurre l’incidenza di GVHD, tutti i protocolli di trapianto allogenico oggi disponibili utilizzano un’associazione di farmaci immunosoppressori (es. ciclosporina, tacrolimus, metotrexate, siero antilinfocitario, sirolimus etc.). La GVHD acuta si manifesta prevalentemente con alterazioni a carico della cute (tipico eritema morbilliforme maculo-papuloso con localizzazione anche al palmo delle mani e alla superficie plantare dei piedi), del fegato o dell’intestino; il trattamento di prima linea è la terapia steroidea ad alto dosaggio. La GVHD cronica possiede manifestazioni simili a patologie autoimmunitarie con impronta fibrotica o sclerotica e frequente interessamento di cute e annessi cutanei, fegato, polmone, mucosa del cavo orale e genitale, congiuntiva e tratto gastroenterico. Anche in questo caso la terapia di prima linea è lo steroide, in associazione o meno a ciclosporina o altri farmaci immunosoppressori.

Accanto alla GVHD, le complicanze infettive rappresentano una delle principali cause di mortalità e morbidità legate al trapianto; il paziente trapiantato possiede un’aumentata suscettibilità sia nei confronti di infezioni batteriche, che virali e fungine. Devono pertanto essere eseguiti adeguati piani vaccinali e profilassi antibiotica.

Le principali indicazioni all’esecuzione di trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche sono le leucemie mieloidi e linfoblastiche acute, le sindromi mielodisplastiche, l’anemia aplastica grave, i linfomi non-Hodgkin o di Hodgkin in recidiva dopo autotrapianto e alcune emopatie congenite (es. talassemia major).

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